Travaglio e parto

Le fasi della nascita

Iniziamo con lo spiegare cos’è tecnicamente il travaglio: si definisce travaglio quella serie di contrazioni uterine ritmiche e progressive che hanno lo scopo, prima di accorciare e poi di dilatare la cervice per consentire il passaggio del bambino.

Generalmente, il travaglio può iniziare tra le 2 settimane prima e le 2 settimane dopo la data presunta per il parto e la durata varia da donna a donna, in base a molteplici fattori, primo fra tutti il fatto di essere nullipara o pluripara: per una donna incinta del primo figlio, il travaglio può durare dalle 12 alle 14 ore, perché i tessuti sono più rigidi e occorre più tempo e forza per dilatare il collo dell’utero, mentre per le gravidanze successive il tempo si riduce sensibilmente, durando in media fra le 6 e le 8 ore.

Ricordatevi inoltre che l’attività sessuale (altro punto dolente per la donna in attesa), se la gravidanza non presenta complicazioni, è consigliata perché può aiutare a preparare il corpo ad affrontare meglio il travaglio.


Il travaglio si divide essenzialmente in 5 fasi

  • Fase prodromica: è quella in cui avvertirete quei segnali che lo preannunciano e che tanto avete paura di non riconoscere
  • Fase dilatante: a sua volta suddivisa in fase latente e fase attiva, è quella che porta alla completa dilatazione della cervice
  • Fase di transizione e fase espulsiva: quelle che portano fino al parto
  • Secondamento: è il momento dell’espulsione della placenta
  • Post partum

Fase prodromica

Il percorso che porta al travaglio vero e proprio può iniziare con dei dolori simili a quelli mestruali, nella parte bassa dell’addome, con conseguente indurimento di tutta la pancia (sono contrazioni diverse da quelle indolori chiamate contrazioni di Braxton-Hicks, che avrete sicuramente avvertito nelle ultime settimane, perché in questo caso il dolore lo avvertirete forte e chiaro). Sentirete un maggiore stimolo ad urinare poiché il feto si impegna nel bacino e si prepara con la testa ad entrare nel canale uterino, in compenso però respirerete meglio, per la minore pressione esercitata sul diaframma.

I dolori andranno sempre più intensificandosi man mano che si avanza nella fase prodromica, sfociando in contrazioni vere e proprie, che possono durare anche 2-3 ore, dapprima irregolari e di intensità variabile e poi sempre più ritmiche. La principale differenza con quelle “vere” è che, con l’andare dei minuti, le preparatorie invece di aumentare e ravvicinarsi, diminuiscono fino a cessare del tutto. Queste contrazioni possono infatti manifestarsi anche per più giorni di seguito, specialmente nelle ore serali, e essere accompagnate da perdite di muco dai genitali,spesso con striature rosate, miste a piccole quantità di sangue dovute alla rottura dei capillari superficiali del canale cervicale che inizia a dilatarsi. Questo tappo mucoso ha avuto la funzione, fino al momento del distacco, di chiudere il collo dell’utero e isolare la cavità uterina dall’ambiente esterno.

Queste perdite possono precedere l’inizio della successiva fase del travaglio addirittura di 72 ore. In questa fase si potrebbero rompere le acque, più precisamente sono le membrane del sacco amniotico che, sotto la spinta della testa del bambino contro il collo dell’utero, si rompono, provocando la fuoriuscita del liquido amniotico, che aveva protetto per nove mesi il vostro bimbo dalle aggressività esterne. Tante donne hanno paura di non accorgersene ma, solitamente, la quantità di liquido perso è abbastanza copiosa quindi vi sentirete bagnare da un liquido caldo, molto diverso dall’urina perché limpido, trasparente e inodore. Quando questo accade, la maggior parte delle donne entra in travaglio spontaneamente entro 24 ore. Se così non fosse, generalmente il travaglio viene comunque indotto per scongiurare il rischio di infezioni.

Fase dilatante

Come detto in precedenza, questa fase si articola in una fase di latenza, che va dall’inizio delle contrazioni uterine più forti, ma ancora irregolari, fino al raggiungimento dei 3-4 cm di dilatazione ed una fase attiva, che quindi va dalla dilatazione di 3-4 cm alla dilatazione completa di 10 cm. Non sarà necessario recarvi in ospedale alla prima contrazione anzi, si consiglia di rimanere nel comfort e nell’intimità della vostra casa il più a lungo possibile, aspettando che le doglie si stabilizzino su una durata di circa 1 minuto, ogni 5 minuti per 2 ore. Al contrario, dovrete raggiungere subito l’ospedale se si rompono le acque o se notate perdite di sangue color rosso vivo, perché potrebbero essere dei segnali di un problema alla placenta.

Man mano che entrerete nella fase “calda” del travaglio, la cervice, contrazione dopo contrazione, andrà a dilatarsi sempre di più fino a diventare temporaneamente un tutt’uno con la parete uterina: in questo modo, utero e vagina andranno a formare il canale del parto attraverso il quale passerà il bambino. Il periodo latente della fase dilatante del travaglio è generalmente il più lungo (quello che sembra non finire mai) anche se le contrazioni sono ancora sopportabili e concedono una tregua per riposarvi tra l’una e l’altra. Quando la dilatazione avrà superato i 3-4 cm, potrete richiedere l’anestesia epidurale, ossia la somministrazione di un anestetico locale tramite iniezione tra le vertebre lombari.

Se non è già successo prima, in questa fase solitamente si rompono le acque ma, se la dilatazione è arrivata già a 4-5 cm e le membrane sono ancora integre, si procederà all’amnioressi, ossi alla rottura artificiale del sacco amniotico, per aumentare l’attività contrattile dell’utero e facilitare la discesa del bambino nel canale del parto. Inoltre, osservare il colore del liquido amniotico può essere molto importante per avere indicazioni sulla salute del feto: se è verdognolo, infatti, può indicare una sofferenza fetale. Se dopo 3 ore dall’amnioressi la dilatazione non procede al ritmo di 1 cm all’ora, vi potrà essere somministrato un ormone, l’ossitocina, che ha la funzione di accelerare il travaglio.

A partire dai 4-5 cm di dilatazione, entrerete nella fase attiva, che può durare dai 30 minuti alle 2 ore, e che vi porterà alla dilatazione completa con delle contrazioni estremamente intense e ravvicinate, che quasi non vi consentiranno di riprendere fiato. Quando il collo dell’utero sarà talmente dilatato da combaciare con la circonferenza del cranio del bambino, entrerete nella fase espulsiva, ossia quella delle spinte. Riassumendo, la fase dilatante può durare nel complesso dalle 2 alle 8-10 ore.

Durante questo lungo lasso di tempo, non dovrete sentirvi obbligate a rimanere sdraiate sul lettino in posizione ginecologica anzi, si consiglia di muovervi e di assumere posture e posizioni diverse sia per affrontare meglio il dolore che per accompagnare la discesa del bambino. Inoltre, ricordatevi sempre gli esercizi di respirazione e le tecniche di rilassamento come i massaggi, validissimi alleati contro il dolore e l’irrefrenabile impulso di urlare.

Per quanto riguarda il personale che vi assiste, in queste ore vi verrà fatta una cardiotocografia o monitoraggio, che serve a controllare il benessere fetale tramite registrazioni regolari del battito cardiaco del bambino e delle contrazioni uterine, e verrà compilato un partogramma, ossia una scheda dove verranno riportati parametri specifici (come la dilatazione cervicale e la progressione della testa del bambino nel corso delle ore) per monitorare l’evoluzione del travaglio. Nella maggior parte degli ospedali, viene praticata inoltre una tricotomia, ossia la rasatura dei genitali, per permettere una maggiore disinfezione della parte e una sutura più agevole in caso di episiotomia.

Fase di transizione e fase espulsiva

Quando il collo dell’utero avrà raggiunto la dilatazione massima, entrerete nella fase espulsiva, che può durare circa 1 ora per le nullipare o anche solo mezz’ora per i parti successivi. Nel primo stadio di questa fase finale, la vagina non è ancora dilatata e, per il momento, non sentirete l’impulso di spingere, che avvertirete invece quando la testa del bambino raggiungerà il pavimento pelvico, premendo sull’ampolla rettale. Se questo non avviene, ossia se non sentirete questa sensazione, probabilmente è perché la testa del bambino non è in posizione corretta, si provvederà allora alla somministrazione di ossitocina, a distanza di un’ora per la nullipare e di mezz’ora per le pluripare dall’inizio della fase espulsiva.

Se, nonostante l’ossitocina, la situazione non cambia, si procederà con il taglio cesareo. In questa fase di transizione, potreste avvertire diversi sintomi come nausea e vomito, tremore, calore, fortissimi dolori alla schiena e anche sconforto con relativo impulso di piangere. Tutto normale, quando inizierete a spingere e capirete che il momento di conoscere vostro figlio è davvero arrivato, ritroverete nuova forza e nuove energie.

In condizioni normali, l’ostetrica vi inviterà a spingere appunto quando la testa del bambino avrà raggiunto il pavimento pelvico e proprio nel mezzo della contrazione, per assecondare il movimenti del bambino e il lavoro dell’utero (se avete fatto l’epidurale, l’ostetrica vi detterà i tempi). Quando inizierete a spingere, entrerete nella fase espulsiva vera e propria. Come per il travaglio, anche per il parto non dovrete sentirvi obbligate a rimanere in una posizione (quella ginecologica è chiaramente la più comoda per chi vi assiste ma non deve esserlo necessariamente anche per voi) ma provatene diverse e adottate quella che vi fa sentire più a vostro agio.

Per facilitare l’uscita della testa del bambino ed evitare lacerazioni del perineo (ossia la delicata zona tra l’apertura della vagina e l’ano), potreste subire un’episiotomia, ossia un taglio che può essere centrale e andare quindi dalla vagina all’ano (episiotomia mediana) incidendo solo la cute e la mucosa vaginale, oppure diagonale, dalla vagina alla natica destra (incisione paramediana), che incide anche i muscoli (almeno i punti vi saranno messi in anestesia locale e con un filo riassorbibile che si scioglie da solo nel giro di qualche giorno).

Tornando alla discesa del bambino, man mano che si avvicina alla vagina, la testa del bambino si flette sul corpo in modo da offrire i diametri più favorevoli al passaggio nel canale del parto, per poi ruotare ed estendersi in avanti: inizia così il disimpegno della testa, che porta alla fuoriuscita della stessa con la faccia del bambino rivolta posteriormente. Una volta uscite anche le spalle, anch’esse con una rotazione, il resto del corpo non incontrerà difficoltà. Quando la testa del bambino farà capolino dall’apertura della vagina e inizierà ad uscire, non ci sarà più bisogno di spingere e l’ostetrica vi fermerà, per far sì che il bambino nasca nel modo meno traumatico possibile perché, così facendo, lascerete che sia l’utero da solo a procedere con l’espulsione. In queste ultimissime fasi, potreste sentire un forte bruciore, dovuto alla discesa del bambino che tende e dilata il canale del parto. Il bruciore comunque dura in genere solo pochi istanti ed è seguito da una sensazione d’intorpidimento generale, dovuta al fatto che la testa del bambino, tendendo i tessuti della vagina, li assottiglia al punto tale di neutralizzare i nervi, dando luogo a una sorta di anestesia naturale.

A questo punto, ce l’avete davvero fatta! Ora potrete stringere vostro figlio tra le braccia e tenerlo stretto al petto, mentre il papà taglierà il cordone ombelicale.

Secondamento

Quest’ultimissima fase può durare dai 10 ai 30 minuti al massimo. Dopo la nascita, le contrazioni si interrompono per circa 15 minuti per poi ricominciare per circa mezz’ora, allo scopo di espellere la placenta (detta popolarmente “seconda”, per questo motivo questa fase viene detta secondamento) che si stacca dalla parete uterina. Solitamente è un processo che avviene con facilità ma, in caso di resistenza delle membrane, l’ostetrica potrebbe chiedervi di fare qualche colpo di tosse e tirare nel mentre, per facilitare l’operazione. Durante l’espulsione, perderete una discreta quantità di sangue, cosa del tutto normale visto che i grossi vasi sanguigni che hanno irrorato la placenta per 9 mesi ora non servono più.

Dopo l’espulsione, l’utero si contrae, provocando un effetto “emostatico” muscolare che previene un’eccessiva perdita di sangue dalla zona di distacco della placenta.

A questo punto, la placenta verrà esaminata accuratamente in modo da assicurarsi che sia integra e che non ci siano residui nell’utero, perché potrebbero provocare un rischio più alto di emorragie.

Chiaramente, per i giorni successivi continuerete a perdere sangue, come una mestruazione particolarmente abbondante: queste perdite si chiamano lochiazioni, servono in un certo senso a “pulire l’utero”, e hanno una durata che varia da donna a donna, da un minimo di qualche giorno fino a 5-6 settimane dopo il parto.

Post partum

Dopo il secondamento, inizia un periodo (della durata di circa 2 ore) molto delicato per la neomamma, in cui deve essere attentamente sorvegliata dal personale medico (ma voi non vi annoierete perché, con ogni probabilità, starete facendo i primi tentativi per attaccare al seno il vostro bambino!).

In questo periodo del post partum verranno valutati diversi parametri, come la quantità di sangue perso, le contrazioni uterine, la frequenza del polso, la pressione arteriosa e la temperatura corporea. Trascorse queste 2 ore, il parto può dirsi definitivamente concluso e potrete finalmente riposarvi (bebè permettendo!) nella vostra stanza.