Sindrome di Down, l’importanta della transulecenza nucale

Assodato che in Italia la maggioranza delle donne in stato interessante, si sottopone a test di diagnosi prenatale per verificare eventuali anomalie nel feto, c’è da indagare, invece, quante coppie considerino i rischi collegati ad una gravidanza maturata oltre i 30 anni di vita della futura mamma.
Ferma restando la volontà dei genitori di mettere al mondo un figlio sano, c’è da dire, come ben saprete, che oltre una certa età alcuni esami, anche invasivi, diventano un passaggio obbligato per le future mamme più attempate sebbene l’incessante ricerca scientifica stia andando nella direzione di mettere a punto una diagnostica sempre meno invasiva per la gestante e per il feto.

Se è vero che molti passi avanti sono stati già fatti, è anche vero che su quelle donne in cui si riscontra un rischio maggiore di patologie genetiche, diventa necessaria una diagnostica prenatale completa a tutela della salute del feto. In particolare vorremmo porre l’attenzione sulla sindrome di down della quale discutiamo in compagnia del professor Dandolo Gramellini, specialista in Ginecologia e Ostetricia e in Patologia della Riproduzione Umana presso il Poliambulatorio Dalla Rosa Prati di Parma.

Professor Gramellini, come si indaga il rischio della Sindrome di Down?

Tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gestazione viene proposto un esame di screening, quindi non invasivo, noto come Translucenza Nucale. Nel corso di un esame ecografico, si misura lo spessore dell’accumulo sottocutaneo di fluido dietro il collo del feto, rispettando particolari criteri ed applicando specifiche modalità. E’ opportuno che venga abbinato al dosaggio di due analiti ematici materni, di provenienza placentare, il  cosiddetto Bi-Test, che consente di aumentare la probabilità di identificare un feto affetto da Trisomia 21 dal 75-80% della sola Translucenza all’85-90% del Test Combinato. Quest’ultimo consiste nell’analisi incrociata, mediante un sofisticato sistema computerizzato, di tre elementi in gioco -età materna, spessore della Translucenza Nucale e dosaggi degli analiti materni (frazione libera della beta-hCG e Proteina Plasmatica della gravidanza o PAPP-A)- che alla fine consente di ottenere una stima personalizzata, sulla specifica gravidanza, del rischio di Sindrome di Down. In base ai risultati ottenuti, i genitori saranno consigliati sugli eventuali ulteriori approfondimenti diagnostici, nel caso in cui questi siano necessari. La procedura, se pure specifica per il rischio di Trisomia 21, consente di ottenere collateralmente un’analoga informazione anche per la Trisomia 18 e la Trisomia 13.

Alcuni difetti congeniti vengono ereditati con il patrimonio genetico genitoriale. Altri, invece, sono causati da mutazioni spontanee e sporadiche del Dna.

“Le anomalie cromosomiche possono essere identificate in una fase precoce della gravidanza grazie al prelievo dei villi coriali o all’amniocentesi. I difetti genetici, invece, sia ereditari sia sporadici, possono essere ricercati solo se vi sono in famiglia precedenti tali da consigliare uno studio più approfondito”.

Ricordiamo, infine, che non sono ancora note le cause precise che determinano l’insorgenza della sindrome di Down. Numerose indagini epidemiologiche hanno comunque messo in evidenza che l’incidenza cresce con l’aumentare dell’età materna  o, come evidenziava il professore, con la presenza di casi analoghi in famiglia; non è da escludere, comunque, la possibilità che nasca un bimbo down anche da una mamma in giovane età sebbene il rischio sia piuttosto ridotto.
Per concludere segnaliamo che, attualmente in Italia 1 bambino su 800 nasce con questa condizione, questo vuol dire che nascono quasi due bambini Down al giorno, con una stima di circa 40.000 persone Down oggi viventi in Italia.