Un figlio dopo i 50 anni

Care mamme,

oggi vorrei parlare con voi di un tema piuttosto delicato, quello della maternità molto tardiva, oltre la soglia dei 50 anni. Di esempi, anche in Italia, ne abbiamo molti, basti pensare alle varie Carmen Russo, Gianna Nannini o Heather Parisi, che hanno rivendicato e inseguito con determinazione il loro diritto (presunto o legittimo che sia) di diventare madri, ad ogni età e con ogni mezzo.

E proprio qui sta il punto: fino a che punto la maternità è un diritto? Quali sono i limiti oltre i quali non è giusto spingersi?

Di certo, il primo limite è imposto inevitabilmente dalla natura e dal progressivo esaurimento dei follicoli ovarici, che determina l’età fertile di una donna. Considerate che a 40 anni la perdita degli ovociti è già al 97% e quelli che rimangono sono in genere poco vitali. Inoltre, anche se l’ovulo riesce a impiantarsi, il rischio di aborto spontaneo è del 40% (l’età rende infatti l’utero meno idoneo a una gravidanza, così come i tessuti genitali, più rigidi, il che comporta quasi sempre la necessità di un parto cesareo), senza parlare del rischio di malformazioni o handicap, circa il doppio di una gravidanza a 20 anni. Per farla breve, solo 2 donne su 1 milione sono in grado di concepire naturalmente un figlio dopo i 50, per cui l’unica speranza per una donna di quell’età di diventare mamma è affidarsi alla medicina riproduttiva che, se la donna ha uno stile di vita sano e regolare, è normopeso, non fuma, non è ipertesa ecc, dà una percentuale di successo del 60%.

E’ indubbio che l’età media per una prima gravidanza si è alzata di molto, per svariati motivi: percorso di studio più lungo, difficoltà economiche, esigenze lavorative ma anche paura delle rinunce che l’arrivo di un figlio inevitabilmente comporta. Ci stiamo dunque sempre più abituando a vedere mamme non più giovanissime o, quantomeno, ad avere dei dubbi se quella donna avanti con gli anni che va in giro con un neonato sia effettivamente sue madre o sua nonna. Ma questo cosa comporta? Il “fenomeno” delle maternità tardive è ormai sdoganato in un’Italia sempre più vecchia?

Ma soprattutto, cosa spinge una donna ad aspettare tanto? Perché iniziare un percorso sicuramente difficile, impegnativo e doloroso a quell’età? Insomma, le domande sono le classiche: ma perché non ci ha pensato prima? Forse una malattia? Semplice egoismo? L’istinto materno che pensava di non avere è spuntato fuori all’improvviso? Un’illuminazione che le ha fatto cambiare prospettiva e capire il vero senso della vita? Tenersi un compagno? Avere un figlio era l’ennesimo sfizio che voleva togliersi nella vita?

Qualsiasi sia il motivo, giusto o sbagliato che sia, personalmente ritengo che in certe scelte non sia giusto tener conto solo del punto di vista e delle esigenze della donna e potenziale madre, ma cercare anche di mettersi nei panni del figlio che si vuole disperatamente concepire, e alle responsabilità nei suoi confronti. E qui subentrano le inevitabili implicazioni di tipo etico: come la mettiamo col diritto del nascituro di conoscere la propria origine biologica? Inoltre, crescere un figlio richiede un impegno psicofisico notevole, e le energie che si hanno a 20-30 anni sono molto diverse da quelle che si hanno a 50-60. Pensiamo poi all’adolescenza, può un settantenne capire il turbamento di un ragazzo in fase adolescenziale? Se la comunicazione è difficile con 20 anni di differenza, come può essere con 50?

Infine, tra i punti principali di opposizione alle maternità tardive c’è il rischio di creare una generazione di “orfani adolescenti” o, comunque, una generazione di figli “costretti” a farsi carico dell’assistenza senile dei genitori già in giovanissima età.

D’altro canto, però, si può obiettare che sì, è vero che a 50 anni si ha meno energia, ma è anche vero che si ha più pazienza e più tempo da dedicare ai figli, visto che la carriera è già avviata e la condizione economica più stabile. E poi comunque in adolescenza è inevitabile che genitori e figli non si capiscano, indipendentemente da quale sia la differenza d’età. E il rischio di diventare orfani o di dover prestare prematuramente delle cure al genitore? Beh, un incidente mortale o gravemente invalidante non può capitare anche ad un genitore trentenne?

Scrivendo l’articolo mi è venuta in mente un’intervista di qualche anno fa che mi aveva colpito particolarmente. L’intervistata era Susan Tollesfen, 63 anni, che a 57, dando alla luce Freya, divenne la mamma più anziana d’Inghilterra.

Susan dice: “Se devo essere onesta la mia esperienza insegna che un limite deve essere stabilito e penso che sia a cinquant’anni. [..] Non ho alcun rimorso di avere avuto Freya ma ho pagato un prezzo pesante al mio sogno di diventare madre. Mi è costato la relazione con Nick. Tu credi di essere innamorata di qualcuno e non ti rendi conto di quanto il rapporto con un marito o un convivente possa cambiare dopo che hai avuto un bambino. Specie se lui è più giovane di te. […] Il mio errore è stato di non averla prima”. La paura più grande di Susan è infatti quello di non avere davanti a sé il tempo necessario per vedere sua figlia crescere e diventare una donna.

Quanta carne sul fuoco vero? E come al solito ho fatto un sacco di domande…voi come rispondereste?