Perdite vaginali, quando preoccuparsi e quando no

Le perdite vaginali accompagnano tutto il periodo della gestazione, anche se cambiano con il procedere della gravidanza, e sono assolutamente fisiologiche: biancastre (donde il loro nome scientifico di leucorrea), abbastanza dense e con un pH acido, sono causate dagli estrogeni, da un maggiore afflusso di sangue in zona genitale e dalla congestione della mucosa vaginale. Si condensano nel collo dell’utero, formando il cosiddetto “tappo di muco”, una barriera protettiva che si staccherà in prossimità del parto.

Può capitare, in genere nel primo trimestre, che siano venate di sangue, diventando di colore marroncino o rosino: può succedere come segno che la cellula uovo (zigote) si è correttamente impiantata nell’utero, o in corrispondenza della mestruazione virtuale (quella che sarebbe arrivata se la gravidanza non l’avesse bloccata), o in seguito a un piccolo trauma, come una visita ginecologica interna, o un rapporto sessuale. In questo caso non c’è da preoccuparsi, nel giro di pochi giorni il colore dovrebbe ritornare normale, ma una telefonata alla ginecologa è meglio comunque farla.

Quando, invece, c’è davvero ragione di preoccuparsi? Se doveste vedere del sangue rosso vivo o rosso molto scuro, tanto più se abbondante. Le cause di questo sanguinamento anomalo possono essere molteplici e non necessariamente portare a qualcosa di terribile, ma in questo caso bisogna immediatamente rivolgersi a un medico, la propria ginecologa o un pronto soccorso se questa non fosse reperibile.

Nel primo trimestre, quello più delicato, questo fenomeno può infatti essere segno di un aborto iniziale o di una gravidanza ectopica (quando la cellula uovo non si impianta nell’utero, ma altrove, in genere in una tuba di Falloppio). Di solito in questo caso, però, oltre al sanguinamento si dovrebbero avvertire anche dolori addominali o crampi al basso ventre.

Nell’ultimo trimestre, invece, quando ci si avvicina sempre più alla data di parto previsto, una perdita consistente di sangue può indicare distacco di placenta intempestiva, ovvero prima della nascita del bambino, fatto grave che può portare a un parto prematuro o, nei casi peggiori, addirittura alla morte del bambino; altrimenti può essere segno di placenta previa, ovvero attaccata troppo in basso nella parete uterina, troppo vicino, cioè, a quel segmento di utero che subirà una forte dilatazione in fase di travaglio e parto. In ogni caso fate sempre riferimento alla vostra ginecologa, che conosce il vostro quadro clinico, o al primo medico disponibile all’interno di una struttura sanitaria.