Mobbing: come affrontarlo

Carissime mamme,

oggi vogliamo parlare di un argomento spinoso, legato alle difficoltà che può incontrare una mamma nel mantenere il proprio posto di lavoro.

Parleremo infatti di “mobbing”, una parola brutta come il concetto che esprime: per mobbing si intende infatti quel “terrore psicologico” attuato sul luogo di lavoro (generalmente da un superiore ma anche i colleghi, per compiacere il capo, possono infierire) e perpetrato in modo frequente e sistematico (in linea di massima circa una volta alla settimana per almeno 6 mesi), che spinge la vittima in uno stato di impotenza, di isolamento e di impossibilità di difesa e le cui conseguenze possono manifestarsi con seri disagi a livello psicologico, psicosomatico e sociale.

Il mobbing può essere attuato con diverse modalità, dalla dequalificazione delle mansioni, alla diffusione di notizie false e diffamatorie allo scopo di compromettere la credibilità nei confronti di colleghi e superiori, con il fine ultimo di indurre il “mobbizzato” alle dimissioni, senza dover ricorrere al licenziamento.

Purtroppo, le mamme che rientrano al lavoro dopo il congedo di maternità sono spesso i bersagli più colpiti da questo genere di soprusi, perché non più “devote al 100%” al lavoro come prima della gravidanza. E’ facilmente intuibile quanto una “persecuzione” del genere possa essere devastante per la psicologia già provata di una donna nel delicato periodo del post-parto, e quanto, di conseguenza, possa ripercuotersi anche nella sua vita privata (si parla in questo caso di doppio mobbing).

Il mobbing nei confronti delle donne, non solo legato alla maternità ma anche in seguito al matrimonio o al rifiuto di avances, viene definito mobbing di genere, perché rivolto alla dipendente proprio in quanto donna e madre.

Come ci si può difendere:

Premettiamo che, al momento del rientro al lavoro dalla maternità, la donna ha il diritto di ritrovare il posto che occupava prima della gravidanza, senza modifiche nelle mansioni, nello stipendio o nella qualifica. Se questo diritto viene negato, il datore di lavoro va chiaramente contro la legge che tutela la maternità.

Stabilito questo, è fondamentale che la lavoratrice reagisca e si attivi subito per far valere i propri diritti, in primo luogo rivolgendosi al sindacato o a un avvocato specializzato (la CGIL di Milano, ad esempio, dispone di uno “sportello mobbing” al quale chiedere aiuto).

Chiaramente, bisogna fornire quanta più documentazione possibile sugli abusi subiti, che attesti l’avvenuto comportamento illecito da parte del datore di lavoro:

se si è dovuti ricorrere a delle assenze per disturbi dovuti allo stress sul luogo di lavoro (attacchi di panico, ansia, forme depressive), è importante che la diagnosi del medico curante espliciti chiaramente che la patologia è riconducibile al contesto lavorativo (non a caso, l’INAIL riconosce queste patologie come malattie professionali in quanto possono portare all’invalidità psico-fisica della persona).

Per dimostrare il periodo in cui i disturbi sono iniziati saranno utili:

  • tutti gli eventuali altri certificati medici che attestino i danni subiti (psicologo, psichiatra, clinica del lavoro etc.)
  • tutte le prove (mail offensive, lettere di richiamo, assegnazione di compiti non pertinenti al ruolo e alla qualifica) che possano ricostruire e dare sostegno e veridicità ai fatti
  • trovare qualche collega disposto a supportarvi testimoniando sarebbe molto importante ma non è facile, perché spesso, per paura di essere a loro volta vittime di questi soprusi, scelgono la via dell’omertà, per difendere il proprio posto di lavoro

Una volta accertata la situazione da parte del sindacato o del legale si procede in questo modo:

  • si chiama l’azienda spiegando la situazione e cercando un accordo
  • se la situazione non migliora si passa alle vie legali, garantendo alla vittima una costante assistenza psicologica
  • Certo, il percorso non sarà facile e richiede tanta determinazione e tanto coraggio ma la denuncia e la forza di raccontare la propria storia sono gli unici strumenti di cui disponiamo per dire basta a certi soprusi di cui le donne sono, ancora troppo spesso, vittime.