I figli della provetta e il diritto di conoscere il padre biologico
“The kids are all right“. Ovvero: “I ragazzi stanno bene”. E’ il titolo di un film con Annette Bening e Julianne Moore che porta di nuovo sotto i riflettori il tema dell’inseminazione artificiale e delle famiglie omogenitoriali. Si torna a parlare dei “figli della provetta”, frutto di quello che circa vent’anni fa appariva come una vera e propria rivoluzione medica e sociale. I primi bambini nati con inseminazione artificale da donatori anonimi hanno ormai raggiunto l’età adulta e nel momento in cui si trovano ad affrontare il proprio futuro, sentono la necessità di capire da dove provengono. Così quel semplice “donatore” cessa di essere “la necessità biologica che mi ha consentito di venire al mondo” per diventare una presenza negata. La conseguenza è che questi ragazzi si spesso lanciano alla ricerca dell’uomo che è rimasto come un’ombra all’interno delle loro vite. Nello sconcerto di tante mamme single che leggono in questo nuovo atteggiamento dei figli una critica al loro modo di essere madri. Dopo aver affrontato difficoltà enormi per crescerli da sole, loro si lanciano all’inseguimento di un fantasma?
Nel film, Annette Moore e Juliette Bening sono una consolidata coppia omosessuale con due figli nati da inseminazione artificiale. Ma divenuti adulti i ragazzi riescono a rintracciare il padre biologico e cercano di convincerlo a inserirsi nel contesto famigliare. La realtà, però, è spesso ben diversa. Negli Stati Uniti sono diventati celebri due casi: quello di Katrina Clark e quello di Lindsay Greenawalt. Entrambe sono state cresciute da madri single che si erano rivolte a banche del seme per restare incinte e una volta divenute adulte hanno sentito il bisogno di scoprire l’identità del loro padre biologico, di mettersi in contatto con lui. Con esiti assai diversi da quelli del film.
Lindsay ha pensato per anni a chi fosse suo padre. Per il giorno del papà scriveva lettere prive di destinatario: “Ci sono così tante cose che vorrei sapere su di te”. Divenuta adulta, Lindsay ha provato a rintracciarlo attraverso la banca del seme a cui si era rivolta sua madre. Ma la maggior parte di questi istituti garantisce ai donatori il più assoluto riserbo sulla loro identità. L’unica cosa che Lindsay è riuscita a scoprire è che il “Donatore 2035” ha i capelli scuri, gli occhi verdi e che è andato al college. “Ho fatto in modo che sapesse che lo stavo cercando-ha ammesso Lindsay-ma non ha voluto rispondermi.”
Diverso il caso di Katrina Clark. Lei è riuscita a contattare il padre biologico dopo appena qualche settimana di ricerca su internet. All’inizio, l’uomo sembrava aver reagito bene: le ha risposto e le ha anche inviato una fotografia. Poi, più nulla. “Forse l’ho sottoposto a una pressione eccessiva-ammette – si è sentito in difficoltà o semplicemente non è ancora pronto”.
Lindsay ha un blog, Confessions of a cryokid, alle cui pagine virtuali ha affidato le proprie riflessioni su cosa significa essere “figli della provetta“. “Credo nel destino-scrive-e forse il mio destino era semplicemente questo. Sono venuta al mondo in queste circostanze per essere la voce di un cambiamento”. Lindsay si riferisce alla lotta che lei e Katrina stanno portando avanti, con un obiettivo ambizioso: ottenere una nuova legislazione in materia disalute riproduttiva, che oltre a tutelare le mamme e i donatori di sperma, prenda in considerazione i diritti dei figli nati da inseminazione artificiale. In primo luogo, quello di conoscere il padre. Molte banche del seme si sono
Volontariamente aperte al cambiamento, dando ai donatori la possibilità di essere contattati dai figli biologici una volta che questi hanno compiuto 18 anni. Ma sono ancora poche, e pochissimi sono i donatori che accettano.
Scrive ancora Lindsay sul suo blog: “ Avrei preferito non venire al mondo piuttosto che venire concepita con un’identità spezzata e metà della mia discendenza deliberatamente negata per l’eternità. Siamo stati creati per portare un pesante fardello. Un fardello che nessun essere umano dovrebbe portare”.