Ecco come un esame della placenta ci dice se il bebè è a rischio di autismo

Uno studio condotto dagli scienziati della Yale University e della University of California a Davis, ci dice che dai risultati degli esami della placenta, è possibile fare una diagnosi precoce e un trattamento su misura per l’autismo. Questo va ad aumentare le possibilità di intervento e di cura, dato che il cervello è più reattivo nel primo anno di vita di un neonato.

Il rischio che un bambino sviluppi l’autismo potrebbe essere determinato molto precocemente, grazie all’identificazione di alcuni problemi legati alla placenta già prima della nascita. A rivelarlo, sono i ricercatori della Yale University di New Haven, nel Connecticut, e l’Università di California a Davis che assicurano come tali risultati permetteranno una diagnosi precoce e un trattamento di successo per il disturbo dello sviluppo, perché le migliori possibilità di intervento si hanno quando il cervello è più sensibile alle cure, vale a dire nel primo anno di vita di un bambino.

Il Dr Harvey Kliman della Yale School of Medicine e scienziato presso l’Istituto di UC al Davis MIND, ha studiato le anormali pieghe placentari e le crescite cellulari anomale note come inclusioni da trofoblasto. Egli, assieme al suo team, ha determinato che questi sono degli indicatori chiave in grado di identificare i neonati a rischio autismo.

Per l’esattezza, il Dr Kliman e il suo gruppo, hanno esaminato 117 placente di neonati di famiglie a rischio – e quelli con uno o più figli precedenti con autismo. Le placente a rischio sono state confrontate con 100 placente di controllo. Le placente a rischio mostravano 15 inclusioni da trofoblasto, mentre nessuna delle placente di controllo ne ha mostrato più di due, secondo i risultati pubblicati oggi sulla rivista Biological Psychiatry. Il Dr Kliman ne ha concluso che una placenta con quattro o più inclusioni da trofoblasto suggerisce la possibilità che un bambino possa soffrire per il 97 per cento di autismo.

Si tratta davvero di una importante e utile scoperta, dato che fino ad ora, il migliore indicatore precoce di rischio di autismo su cui potevano fare affidamento i medici e i familiari erano la storia familiare – con delle coppie che avevano già un bambino affetto da autismo, esposte ben nove volte in più delle altre ad avere un altro bambino con lo stesso disordine.

Ecco allora, che la ricerca come sempre ci viene in soccorso e sempre più grazie alla diagnosi precoce. Di fatti, se purtroppo, prima di oggi le coppie senza nota suscettibilità genetica dovevano fare affidamento sulla identificazione dei primi segni o indicatori che non potevano apertamente manifestarsi prima del secondo o del terzo anno di vita del bambino, rubando tempo prezioso alle cure, oggi è possibile capire che si è davanti ad un problema ancor prima che il piccolo nasca. E l’auspicio dei ricercatori, che diventa anche il nostro, è quello che la diagnosi del rischio di sviluppare autismo venga esaminata mediante un esame della placenta alla nascita come un comportamento di routine da parte del personale sanitario, e che i bambini che dimostrino di avere un maggior numero di inclusioni da trofoblasto possano accedere e disporre di interventi precoci per una migliore qualità della vita come risultato di questo test.