Diagnosi prenatale: l’amniocentesi
Care mamme,
approfondiamo oggi la nostra sezione dedicata alle procedure diagnostiche alle quali è possibile sottoporsi in gravidanza, parlando di amniocentesi.
L’amniocentesi è un esame invasivo che consiste nel prelievo di una piccola quantità (circa 10-20 ml) di liquido amniotico, introducendo un ago sottile direttamente nel sacco amniotico, attraverso la parete addominale.
Il liquido amniotico, che vene ingoiato e poi espulso dal feto, perciò ricco di cellule provenienti dalla pelle o da altri organi fetali, viene quindi analizzato al fine di controllare il patrimonio genetico del nascituro e, di conseguenza, individuare eventuali malattie cromosomiche come la sindrome di Down e altre malformazioni o anomalie dello sviluppo.
L’analisi del liquido amniotico consente infatti di diagnosticare eventuali difetti del tubo neurale (come la spina bifida), anomalie del metabolismo, malattie ereditarie (come talassemia, fibrosi cistica) e di ricercare la presenza di eventuali agenti infettivi nel liquido stesso (nei casi, ad esempio, di toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia).
L’amniocentesi si effettua sempre con il supporto di un esame ecografico, volto a stabilire con precisione la posizione del feto e della placenta, per ridurre al minimo i rischi di una perforazione placentare o che l’ago possa arrivare a toccare in qualche modo il bambino.
Tuttavia, il rischio di aborto c’è ed è reale e aumenta in caso di amniocentesi tardiva, ossia effettuata dopo la ventesima settimana di gravidanza (solitamente per individuare problematiche specifiche, come la valutazione della maturità polmonare fetale), in quanto può provocare il travaglio prima del termine o traumi fetali (più il bambino cresce più aumenta il rischio di toccarlo in qualche modo con l’ago della siringa).
Un rischio di aborto più alto si ha anche in caso di amniocentesi precocissima, ossia effettuata già a partire dalla dodicesima settimana, anche perché il liquido amniotico in quest’epoca gestazionale è poco e si rischia di non riuscire a ottenere una coltura cellulare sufficiente e che l’esame debba essere quindi ripetuto.
Il periodo di esecuzione consigliato è dunque tra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza (amniocentesi precoce), sia per la presenza di una quantità ottimale di liquido amniotico, che per la presenza in esso di un elevato numero di cellule fetali.
Generalmente, in questo caso, il rischio d’aborto è compreso tra lo 0,5% e lo 0,7%, ossia 1 caso ogni 150-200 esami, ed è costituito principalmente dalla rottura delle membrane, che può avvenire entro 2-3 giorni dall’esame. Altre complicazioni possono essere eventuali infezioni e perdite del liquido amniotico.
L’esame in sé è molto breve, dura pochi minuti, può provocare un po’ di fastidio ma non dolore vero e proprio. Chiaramente molto dipende dall’esperienza della mano che lo pratica (importante anche per ridurre ulteriormente i rischi di cui sopra).
Dopo l’aspirazione del liquido, le cellule devono rimanere in coltura per alcuni giorni quindi non si potrà conoscere l’esito dell’esame prima di 10-15 giorni.
L’amniocentesi non è considerato un esame di routine perché, anche se minimo, il rischio d’aborto non può essere ignorato, quindi viene proposta solo se si sospettano possibilità serie di partorire un bambino malato.
I motivi per cui può essere consigliabile sottoporsi all’esame sono i seguenti:
- età della mamma superiore ai 35 anni
- se la mamma o il papà sono portatori di un’anomalia cromosomica che può essere trasmessa al bambino
- se esiste il rischio che la mamma o il papà siano portatori sani di una malattia genetica presente in famiglia e che può essere trasmessa al bambino
- se si è già genitori di bambini portatori di malattie genetiche
- i risultati del bitest o del tritest hanno evidenziato un’alta probabilità che il feto abbia una malattia genetica o se l’ecografia ha evidenziato anomalie nello sviluppo del feto