Diagnosi prenatale: invasiva e non invasiva
Lo spostamento dell’età della maternità, oltre i 30 ed anche 40 anni, ha determinato il progredire della ricerca e dello sviluppo della biologia molecolare e l’introduzione di sistemi di diagnosi prenatale.
La diagnostica prenatale, è quella branchia della medicina e dell’ostetricia, che applica e studia le tecniche che svelano la normalità o la presenza di patologie, nel feto.
Tali tecniche di diagnostica, si eseguono durante la gravidanza e possono essere invasive o meno.
La diagnosi non invasiva, al momento è solo uno strumento statistico e viene richiesta da coloro che non intendano incorrere nella percentuale di rischio di abortività, tra lo 0.4 e l’1%, che le tecniche invasive comportano.
E’ comunque bene affermare che le metodiche non invasive per lo screenig statistico della trisomia 21 e della trisomia 18 non superano, al meglio, il 92%, mentre le metodiche invasive danno risposte precise e complete.
Tra le tecniche invasive più conosciute, l’amniocentesi, è quella più utilizzata, per riscontrare la presenza di malattie cromosomiche a livello fetale ed infezioni e malattie genetiche, quali ad esempio talassemia, fibrosi cistica, emofilia, spina bifida, albinismo. Questa tecnica, consiste nel prelievo di una quantità di liquido amniotico che viene poi analizzata, ricostruendo il disegno cromosomico del feto.
Altra tecnica invasiva, abbastanza usuale è la villocentesi, che prevede il prelievo di cellule, esternamente alla camera gestazionale, villi oriali, che sono messe in coltura, onde evidenziare le normalità .
Esistono comunque anche tecniche di tipo non invasive, prima fra tutte l’ecografia, il cui sviluppo, ha permesso di mettere a punto esami di screening ad alta sensibilità, quali il testcombinato (bitest + translucenza nucale) e lo sca test, ambedue basati sulla misurazione ecografica di parametri anatomici e funzionali del feto e sul risultato di esami ematochimici, che forniscono valori statistici molto accurati, che all’occorrenza, possono indirizzare verso esami diagnostici.
Fra tali tecniche, rientra anche l’ecografia morfologica, del secondo trimestre di gravidanza, che può evidenziare eventuali malformazioni o anormalità fetali e l’ecocardiografia fetale che analizza sempre ecograficamente, il cuore del feto sia anatomicamente, che sotto il profilo dinamico-funzionale; tale tecnica, non rivela però malattie genetiche.
E’ bene inoltre tener presente, che attualmente le malformazioni conosciute sono circa 9.000 e purtroppo non tutte sono diagnosticabili in alcun modo prima della nascita, pertanto se si ricorre agli esami invasivi onde avere la certezza di eliminare qualsiasi dubbio riguardo a eventuali malformazioni o patologie, questo non è esatto.
E’ invece corretto ed obbligatorio, eseguire tali esami invasivi, tipo l’amniocentesi, se l’età materna è uguale o superiore, ai 35 anni alla data del concepimento, in quanto il rischio di malattie cromosomiche nel feto, aumenta significativamente.
In conclusione, la diagnosi prenatale invasiva, non fornisce un’assoluta certezza di non avere un bambino affetto da malattie cromosomiche ma comporta l’1 – 2% di rischio, di avere la perdita accidentale di un feto sano!
E’ assolutamente fondamentale, riflettere su tale considerazione, perché potrebbe decidere il destino di un bambino!