Educare un bambino non è un compito affatto semplice, e i genitori, primi educatori di un figlio, hanno un arduo incarico davanti a loro, ricco di prove e di difficoltà. Uno dei punti cruciali nella crescita del bambino, è il momento di dire “no”, e far apprendere al proprio piccolo che quello che sta facendo non è la cosa corretta.
Talvolta, per far capire al piccolo l’errore su un determinato comportamento, è necessario mettere in atto delle punizioni. Vediamo quali sono quelle che “colpiscono” e lanciano il giusto messaggio.
Regole
In ogni famiglia ci sono delle regole. Il bambino per il quieto vivere deve imparare che si devono seguire, così come si devono rispettare le persone, gli animali, le cose.
Quando si hanno degli atteggiamenti sbagliati, scorretti, si possono attuare delle piccole punizioni, non atte all’umiliazione ma all’insegnamento, che spiegano appunto che tale comportamento è errato.
Punizioni, perché?
Le punizioni fanno parte del metodo educativo attuato da tantissimi genitori e devono avere un “fine”, ossia far capire al piccolo che un certo comportamento è sbagliato, e fargli assumere le proprie responsabilità a riguardo, poiché, ripetendo lo stesso errore o non rispettando le regole di mamma e papà, incorrerà in un’altra punizione.
Errato invece punire il bambino per quello che “sente”: gelosia, antipatia, invidia, mentre dobbiamo insegnargli a conoscere e gestire le sue emozioni senza ovviamente causare danni alle persone verso cui sono rivolti quei sentimenti negativi (amichetti, fratellino, compagni). La punizione deve comunicare che un comportamento è sbagliato e aiutare il piccolo a crescere, così come insegna anche il libro – da poco presentato sul nostro blog – “Come parlare ai bambini perché ti ascoltino”, un best seller mondiale arrivato anche in Italia e aggiornato per le nuove generazioni “digitali”.
Come spiegare la punizione?
Al bambino va sempre spiegata la motivazione per cui si mette in esecuzione la punizione. Metterlo a sedere per mezz’ora, senza giocare né guardare la televisione, senza spiegargli il perché, non avrebbe senso e sarebbe controproducente. Anche usare paroloni da “adulti” o dire “sai benissimo perché ti sto punendo” non è giusto, poiché il bambino, essendo tale, ha una concezione molto differente dalla nostra di grandi.
Spieghiamo piuttosto che l’abbiamo messo a sedere per farlo riflettere sul comportamento che ha tenuto. Se decidiamo di ritirare il gioco preferito o di negare la visione del cartone animato, spieghiamo chiaramente il motivo. Generalmente, la privazione di ciò che il bambino ama maggiormente è la punizione peggiore e lo porta a mutare il comportamento in positivo.
Punizioni o sculaccioni?
Talvolta, a sangue caldo, verrebbe spontaneo davanti a qualche capriccio epico o qualche marachella tremenda di mollare uno sculaccione, che avrebbe l’effetto sedativo nell’istante in cui lo diamo ma che, con buona probabilità, non trasmetterebbe nessun insegnamento al bambino ed anzi tenderebbe solo a farlo divenire più aggressivo, così come conferma un recente studio.
Molto meglio tenere a freno le mani e mettere in atto la punizione adatta, che può essere niente televisione o niente gioco.
L’età giusta
Ovviamente, per capire la punizione il bambino dev’essere in grado di comprendere che il comportamento o l’azione che ha compiuto è errata. Non possiamo punire un bambino di dieci mesi che morsica il fratello più grande, ma sicuramente possiamo punire il più grande se morsica il piccolo, poiché il gesto probabilmente era finalizzato a fargli male.
Intorno ai tre anni i bambini capiscono che ad ogni azione c’è una conseguenza (causa-effetto) e sono quindi capaci di capire anche le punizioni.
(fonte foto: pixabay.it)