Care mamme,
quanto sia vergognosa la situazione delle mamme lavoratrici in Italia lo sappiamo tutte più che bene, anche grazie alla collaborazione di MammaOggi con Working Mothers Italy, che sta raccogliendo tante testimonianze delle nostre lettrici, che cercano conforto e consulenza.
Abbiamo avuto modo anche di indagare nel mondo della maternità precaria, con il reportage di Current TV, oggi invece vogliamo occuparci del trattamento riservato a tutt’altra categoria, quella delle professioniste con una carriera importante alle spalle. Per scoprire cosa? Ovviamente che la situazione non è affatto migliore.
Ce lo racconta il libro “Donne che cambiano. Carriera, famiglia, qualità della vita: dati e storie vere”, opera prima di Paola Poli, consulente nell’ambito delle Risorse Umane, con esperienza in multinazionali italiane e americane.
L’idea del libro è nata dalla sua storia personale di donna in carriera, che decide di adottare due bambine ma che, da quel momento, si trova a dover fare i conti con una realtà di continui compromessi tra lavoro e famiglia. Dai tempi delle nostre nonne, infatti, le donne hanno conquistato una serie di diritti sia in capo sociale che in quello professionale, ottenendo maggiore libertà e possibilità di realizzazione individuale, ma le reali pari opportunità rispetto agli uomini sono ancora un miraggio, e il motivo principale è proprio la maternità.
Ad un certo punto della propria vita, infatti, la donna si trova di fronte ad una scelta: o il lavoro o i figli, perché diventare madre è ancora oggi un fattore discriminante ai fini della vita professionale, portando a rinunce e a limitazioni di carriera che, al contrario, i padri non devono subire.
Nella prima parte del libro, focalizzata su numeri e dati che fotografano la realtà italiana anche in confronto ad altri Paesi, viene disegnata la situazione e la storia della donna rispetto al lavoro, alla politica, alla maternità, al costume e alla salute. Vi si legge che il 20% delle donne italiane smette di lavorare entro 21 mesi dalla nascita dei figli e che, su 2.000 donne intervistate, il 70% ritiene che all’interno della propria azienda la maternità sia ancora un ostacolo alla carriera. Non per niente, i motivi di lavoro sono spesso la ragione principale che spinge una donna a non volere figli.
La seconda parte del libro è invece dedicata a storie vere, storie di 10 donne, madri lavoratrici e arrivate al vertice della carriera (come avvocato, dirigente, medico, imprenditore) ma che hanno dovuto ridimensionare molto le proprie aspirazioni e i propri obiettivi, sicuramente per scelta e per guadagnare del tempo di qualità con la propria famiglia, ma anche come strada obbligata, derivata da un ambiente lavorativo discriminante. Di conseguenza, alcune hanno lasciato il lavoro, altre hanno scelto il part-time, ancora sinonimo di morte professionale in Italia, altre hanno deciso di continuare la carriera, appoggiandosi ad una baby sitter, altre hanno rischiato di perdere la famiglia.
Per farla breve, secondo l’analisi del World Economic Forum, l’Italia è al 74° posto nella classifica del “gender gap” (disparità di genere) su 134 Paesi analizzati ma, nonostante questo, la fascia delle donne italiane che occupano posizioni di management è in crescita. Ciò significa che per le donne conciliare carriera e famiglia è possibile, ma che in Italia è molto più difficile rispetto ad altri Paesi, come la Francia ad esempio, dove sono molteplici le agevolazioni in favore delle neo-mamme e delle giovani famiglie. Alla maternità viene infatti riconosciuta la sua precisa funzione sociale, percezione che manca nel nostro Paese e che induce a considerarla solo come un problema nel contesto lavorativo, con tutte le carenze a livello legislativo, di welfare, di supporti alla conciliazione maternità-professione che questo comporta.
È dunque palese quanto le donne siano in difficoltà in Italia (e insieme a loro tutta quella schiera di giovani e di precari), ma attenzione perché, per dirla con le parole della stessa autrice, “se le cose continuano così, l’Italia non sarà neanche più un Paese per vecchi: sarà un Paese per morti”.