Diagnosi prenatale: il tritest

Care mamme,

oggi ci occupiamo di diagnosi prenatale, parleremo infatti del tritest.

Il tritest è uno degli esami di screening prenatale più diffusi e serve a segnalare eventuali anomalie cromosomiche nel feto, in particolare quelle che determinano la sindrome di Down.

Cos’è il tritest?

E’ un esame assolutamente non invasivo, al contrario dell’amniocentesi o della villocentesi, perché è sufficiente effettuare un semplice prelievo di sangue tra la quindicesima e la diciassettesima settimana di gestazione.

Si chiama tritest perché individua la presenza nel sangue della gestante di 3 sostanze, prodotte in parte dalla placenta e in parte dal fegato del feto: l’alfafetoproteina (AFP), la beta-gonadotropina corionica (HCG) e l’estriolo non coniugato (E3 FREE).

La valutazione computerizzata di questi 3 parametri, insieme ad altri fattori quali l’età materna (come sappiamo, infatti, il rischio di anomalie genetiche è più alto nelle gestanti più mature), l’esatta settimana di gravidanza stabilita attraverso un esame ecografico, peso ed eventuali malattie della mamma (come diabete ad esempio), consente di quantificare il rischio di sindrome di Down. Il test fornisce infatti un numero in base al quale si può calcolare la probabilità che la gestante possa partorire un bambino malato.

Bisogna sottolineare però, che il test ha una percentuale di attendibilità del 60-70%: essendo infatti un test di tipo probabilistico, esso non fornisce certezze assolute ma probabilità più o meno alte che si siano potute verificare alterazioni cromosomiche . Infatti, può capitare che donne con risultati del tritest positivi (ossia con rischio di sindrome di Down) poi partoriscono dei figli perfettamente sani (si parla in questo caso di “falsi positivi”). Il tritest è comunque utile per individuale le donne più a “rischio”, e indirizzarle verso esami più attendibili come l’amniocentesi.

Quando e come viene eseguito il tritest?

Attualmente, il tritest viene eseguito sempre in combinazione con un altro esame, denominato “translucenza nucale”. Si tratta sostanzialmente di un’ecografia più approfondita e mirata, che si esegue tra la decima e la tredicesima settimana di gravidanza, volta a misurare lo spessore di edema (liquido) che si accumula a livello sottocutaneo in corrispondenza della nuca del feto. Uno spessore maggiore indica una probabilità maggiore che il bambino possa essere affetto dalla sindrome di Down.

Recentemente, il tritest sta cedendo il passo ad un altro tipo di esame, che a volte viene preferito perché si effettua prima, già tra la decima e la quattordicesima settimana di gravidanza: si tratta del bitest o duo-test. Anche questo esame si effettua tramite prelievo di sangue ma, a differenza del tritest, prende in considerazione due sostanze: la proteina A associata alla gravidanza (abbreviata in PAPP-A, è una sostanza di origine placentare presente nel sangue della mamma) e la beta-gonadotropina corionica (analizzata anche dal tritest).

Se i livelli di PAPP-A sono bassi, il rischio della presenza di anomalie genetiche è più alto. I risultati del bitest si basano quindi sulla valutazione combinata del dosaggio di queste due sostanze, e sono anch’essi sempre affiancati da quelli della translucenza nucale.